Il problema dell’Africa. Le parole del Dr. Lugli – parte 03

Alla fine della seconda guerra mondiale l’Africa cessò di essere eurocentrica.
Grazie al Piano Marshal, attivo dal 1948 al 1952, l’ Europa riusci a risollevarsi dalle macerie e a rimettere in moto la sua economia.
A partire dal 1956, con l’indipendenza del Ghana, i paesi africani cominciarono ad affrancarsi dal colonialismo europeo.
Purtroppo un’ altra trappola per il continente africano si materializzò, la guerra fredda.
Gli Stati Uniti e l’Urss, in gara per fare prevalere il capitalismo od il comunismo, concessero prestiti a paesi africani esclusivamente per motivi geopolitici e non con l’intento di facilitare la nascita di stati democratici.
Ciò facilitò l’emergere di governi corrotti e dittatoriali che si sono perpetuati fino ai nostri giorni.
La Francia e l’Inghilterra continuarono comunque a fare sentire la loro influenza sulle rispettive ex colonie.
Nel 1973 vi fu l’embargo del petrolio da parte dei paesi arabi in risposta all’appoggio degli USA ad Israele durante la guerra del Kippur. Il prezzo del petrolio quadruplicò , l’economia mondiale fu sconvolta.
Gli Stati Uniti cedettero grano in cambio del petrolio all’Urss, potere del mercato !!
I paesi arabi versarono montagne di denaro, i famosi petrodollari, in banche internazionali.
Con l’aumento del costo del petrolio i prezzi del cibo nei paesi africani andarono alle stelle.
Fecero ricorso al denaro che le suddette banche davano ad interesse bassissimo.

L’inflazione schizzò, iniziò la recessione e il debito esplose.

Trattandosi di paesi con scarsissimo reddito, con esportazioni quasi nulle aumentarono sempre più la propria dipendenza dalle banche internazionali.
Quando le stesse cominciare a richiedere il rientro del denaro prestato i paesi africani furono impossibilitati a rispondere alla richiesta per la perpetua incapacità produttiva.
Il debito negli anni ’80 attanagliò anche paesi dell’america latina, fra cui il Messico che nel ’82 dichiarò la propria incapacità a rispondere agli impegni debitori verso le banche.
Si rischiò il tracollo e si fece ricorso alla ristrutturazione del debito.
Nonostante ciò i paesi africani continuarono a dipendere dagli aiuti esteri con i quali riuscire a pagare almeno gli interessi.

Stante l’impossibilità di potere accedere ai finanziamenti privati ecco che entrano in gioco la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale..
Vennero garantiti altri aiuti vincolandoli alla riorganizzazione strutturale delle politiche interne, diminuzione della spesa pubblica, privatizzazione delle imprese statali, , libero mercato, rimozione dei sussidi destinati alla produzione interna.
Questa è la storia dell’enorme debito africano.

Da quanto scritto, in questo e nei precedenti articoli, si evince che dal 1885, Trattato di Berlino al 1991, fine della guerra fredda, l’Africa è stata oggetto di specifici interessi da parte della nazioni europee colonizzatrici e delle ragioni geopolitiche degli USA e dell’URSS.
Nessuna delle succitate nazioni ha avuto a cuore uno sviluppo democratico dei paesi controllati anzi ne ha contrastato lo sviluppo, facilitando la nascita di governi corrotti.
gli africani ci stanno presentando il conto per tutti i soprusi patiti.
Hanno lasciato un Continente altamente instabile con continui focolai di guerra, attualmente in Congo, Sud Sudan, Burundi;Repubblica Centroafricana, Nigeria.
Etiopia, Uganda;Tanzania stanno attualmente ospitando centri profughi..
Le ragioni della arretratezza dell’Africa possono essere molteplici, geografiche, tribali e via dicendo.

Le forti divisioni inter-etniche, , causa di reciproca sfiducia, rendono estremamente problematica la condivisione di comuni scopi istituzionali e sono foriere di guerre civili, si pensi al Biafra ed all’Uganda..
Favoriscono anche il perpetuare di instabilità, diseguaglianze e corruzione.
Fortunatamente non è ovunque cosi, Botswana, Tanzania, Ghana, Zambia , pur essendo paesi con centinaia di etnie sono paesi pacificati.

Cosa fare? Un piano Marshall per l’Africa ?

Non credo sia una buona idea. Nel periodo postbellico ha funzionato in Europa perché ha agito su un terreno istituzionale consolidato che aveva solo bisogno di riaccendere il motore, il piano, poi, non era a tempo indeterminato.
Troppi paesi africani purtroppo non hanno ancora solide basi democratiche e ciò ne inficerebbe la riuscita.
In questo caso si tratta di costruire istituzioni politiche ed economiche e non ricostruirle come in Europa
Un afflusso incontrollato potrebbe, quando è destinato a paesi corrotti, avere l’effetto contrario ed impedire la creazione di vere istituzioni, ,
Conosco la Tanzania e a a lei mi rifaccio, prima però vorrei rammentare che i paesi africani hanno cominciato ad ottenere l’indipendenza a partire dagli anni 60 del secolo scorso.
Sono paesi istituzionalmente molto giovani se confrontati a quelli europei che, solo dopo secoli e secoli di feudalesimo, con l’inizio della rivoluzione industriale, si sono consolidati come democrazie.

In Tanzania Njerere, di cui vi ho accennato qualcosa nei precedenti articoli, cercò di ricostituire il modus vivendi tradizionale, destrutturato dagli inglesi che imposero la loro ideologia e la loro politica.
Dopo avere pacificato tutte le 120 etnie e ben sapendo che l’agricoltura fosse l’unica attività possibile, introdusse l’Ujamaa, in Swahjli significa famiglia estesa..
Trattasi di villaggi dove si praticava il “comunitarismo famigliare”inteso come cooperazione fra tutti gli individui dove ognuno dipendeva dalle ricchezze della comunità che loro stessi producevano.

Furono sufficienti sia per la sussistenza che per le esportazioni, la Tanzania divenne uno dei principali produttori di derrate alimentari.
Njerere immaginava anche il coinvolgimento di più villaggi onde realizzare una industria rurale, di trasformazione del surplus di cibo prodotto.
Voleva che la sua Nazione non dipendesse dagli aiuti esteri e che diventasse autosufficiente. Tutto andò bene fino al 1973, la crisi mondiale del petrolio fece crollare tutto ed, anche a causa della guerra con l’Uganda, tutto precipitò e portò inevitabilmente alla accensione del debito.

Possiamo definire Njerere un utopista in un mondo globalizzato ?
Anni fa inviammo due bancali di antibiotici, non vennero utilizzati, non essendo in grado di leggere le istruzioni in Italiano, non si fidarono.
Capii che il nostro approccio non era consono e da allora abbiamo acquistato tutto il necessario in loco facendo girare la loro economia.
Noi occidentali, purtroppo, facciamo facilmente lo stesso errore.

Bono, degli U2, , impegnatissimo nel sociale, pochi anni fa riusci a raccogliere un milione di euro con il quale acquistò centomila zanzariere trattate con insetticidi e le spedì in Africa.
Ciò provocò un mancato guadagno per i produttori locali ed i loro dipendenti.
Le zanzariere di cui sopra durano cinque anni e poi sono da buttare.
Ecco l’errore che facciamo, sull’onda del’emotività ci attiviamo immediatamente mancando però di lungimiranza e pragmatismo.

Quale è la conclusione?
– i progetti devono rispondere a necessità strutturali e non del momento.
– ci deve essere CONDIVISIONE, fra gli attori coinvolti , senza la quale si può agire solo in maniera estemporanea e non lasciare impronte indelebili.

Noi operiamo esclusivamente insieme ai nostri amici africani, ai quali portiamo l’indispensabile contributo finanziario, Njerere era un utopista se pensava di farne a meno ma aveva ragione quando asseriva che tutto doveva nascere sul proprio territorio.
la mia esperienza è stata maestra.

Trova subito tutti gli articoli del Dr. Lugli sul problema dell’Africa, articoli apparsi sul mensile La Piazza di Rimini.
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