Negli anni ’60 del secolo scorso si è assistito ad un susseguirsi di dichiarazioni d’indipendenza dal colonialismo europeo di tanti stati africani.
Avrebbe potuto essere l’avvio di istituzioni politiche che si sarebbero consolidate nel tempo come vere democrazie. Purtroppo, in tanti casi, così non è stato.
In Africa si sono svolte negli anni elezioni che di libero hanno ben poco ed i cui risultati sono frutto di clientelismo, brogli ed intimidazioni.
Grazie a “libere e democratiche consultazioni” sono stati eletti, ad esempio, individui come Bokassa nella Repubblica centroafricana, Mobutu in Congo, Mugabe nello Zimbabwe ed Al Bashir in Sudan, vi invito ad approfondirne la conoscenza.
Soggetti che, una volta saliti al potere, senza il contrasto di istituzioni che facessero da peso e contrappeso, hanno istituto delle feroci autarchie.
Mobutu istituì un sistema definito cleptocratico.
Di fronte a simili “campioni” immagino che tutti abbiano un moto di indignazione come se queste cose non possano mai e poi mai verificarsi nel mondo occidentale.
Niente di più falso, la storia, depositaria della verità, insegna.
Per secoli e secoli, in Europa, prosperò la servitù della gleba al servizio di famiglie elitarie, non scordiamocelo mai prima di giudicare.
Torniamo nello specifico, quali sono le cause di simili atteggiamenti?
Le politiche etniche.
In una società multietnica chi detiene il potere tende a consolidare il consenso fra i membri del proprio gruppo,
Saccheggia l’economia nazionale redistribuendo il maltolto al proprio gruppo a scapito del benessere di tutta la comunità .
La violenza politica impera e, stante il pericolo di guerre civili, la spesa per consolidare l’esercito o gruppi paramilitari a difesa del potere costituito, aumenta a dismisura.
Spesso le forze armate, così rafforzate, compiono colpi di stato destituendo il dittatore di turno sostituendolo con un altro.
L’economia ristagna, basso reddito, bassa crescita ed il sistema si perpetua.
Io credo comunque che, anche se non ci fossero intimidazioni, il riconoscersi facente parte di una etnia porta a votare per il tuo rappresentante.
Tanto più se hai fame, la priorità è portare il cibo a casa e non mettere la croce su un nome o un simbolo.
Quello che è molto carente é il senso di appartenenza ad una unica comunità, manca l’identità nazionale.
Nyerere ne ha fatto la sua principale ragione di vita ed insieme a Mandela e Thomas Sankara , Presidente del Burkina Faso, ucciso dal suo migliore amico dopo il suo storico intervento all’Organizzazione dell’Unitá Africana, ascoltatelo su YouTube, ne hanno capito l’importanza.
Oltre all’Ujamaa, la diffusione dello Swahili come unica lingua ed alla introduzione della storia tanzaniana nelle scuole, cose di cui vi ho parlato negli articoli precedenti, Nyerere portò la capitale a Dodoma, città nel centro del territorio tanzaniano, rimarcandone la unicità con la centralità, eliminò la competizione elettorale multipartitica perché non voleva che riemergessero le ragioni etniche, unico partito aperto a tutti, sradicó l’eredità coloniale che attribuiva poteri ai capi tribù, istituì comitati di villaggio a distribuì equamente le risorse fra le varie località, quindi alle varie etnie.
Sono diretto testimone di questo percorso, è molto forte in Tanzania il senso di appartenenza, di stato unico.
Non è così in Kenia, ho ricordi di gravissimi scontri interetnici durante le elezioni mi pare del 2007.
Kenyatta, l’allora Presidente uscente del Paese, privilegiò nel suo mandato la sua etnia di appartenenza inviando nel suo territorio montagne di risorse pubbliche.
Cercò di lasciare la propria carica ad uno dei due suoi figliocci, i quali, facendosi guerra fra loro, candidarono Daniel Moi, appartenente ad altra etnia, con la certezza che non sarebbe stato eletto.
Così non fu, Moi divenne nuovo Presidente scatenando lotte interne.
A conferma di come lo spirito di appartenenza possa incidere positivamente anche in realtà multietniche vi descrivo l’esito di uno studio condotto da un economista internazionale.
Condusse le sue analisi in due distretti distinti, Busia in Kenya e Meatu in Tanzania.
Bene, a Busia, constatò che gli investimenti nelle locali scuole, dove erano presenti bambini di varie etnie, erano deficitari, i genitori non volevano investire.
A Meatu non esistevano problemi di finanziamento ed al riguardo, a domanda, gli intervistati rispondevano: ” da noi non succede, siamo Tanzaniani”.
Quanto scritto per sottolineare come sia estremamente complessa, contorta, non univoca la realtà africana.
Di fronte a queste complessità l’Italia e l’Europa insieme a lei sono pronte a rispondere in maniera pragmatica e costruttiva alla sfida ??
Personalmente ho le idee chiare al riguardo, le tengo per me, mi limiterò a farvi presente un provvedimento dell’UE del 2015 al Vertice di La Valletta.
Si istituì un fondo fiduciario UE-Africa di 1, 8 miliardi di euro.
Sapete anche per cosa?
Per addestrare le forze di polizia del Sudan e del Niger, paesi di passaggio dei migranti provenienti rispettivamente dall’Africa orientale e da quella occidentale diretti in Libia, al contrasto della immigrazione, dotandole di tutto il necessario.
In buona sostanza sono fondi che hanno l’intento di esternalizzare gli hotspot presenti alle frontiere europee.
Sono fondi spesi bene? Rispondono, secondo voi, alle necessità sopra riportate ??
Non sono forse interventi che si adeguano solo a necessità emergenziali ?
Siamo alle solite, interventi tampone senza studi di fattibilità che rispondano a reali necessità dei paesi africani coinvolti.
Tutti si affannano a dire :”bisogna aiutarli a casa loro” .
Certamente, assolutamente d’accordo ma abbiamo la benché minima consapevolezza della difficoltà del compito ??
Credo che sia il tempo di assumersene la responsabilità, vera e non a parole.
Trova subito tutti gli articoli del Dr. Lugli sul problema dell’Africa, articoli apparsi sul mensile La Piazza di Rimini.
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