il problema dell'Africa

L’ecosostenibilità garantisce anche la stabilità sociale

La sostenibilità ecologica del pianeta fino ai tempi recenti è stata assicurata dalle popolazioni indigene. Sono state le comunità locali che hanno usato la biodiversità per la loro sussistenza (cibo, foraggio per gli animali, fertilizzante verde…), sviluppandola e conservandola per mantenere intatto il patrimonio biologico della terra.

A loro va riconosciuto l’etico diritto di un utilizzo sostenibile delle risorse naturali, tali da assicurare il mantenimento delle funzioni dell’ecosistema: la fertilità del suolo, la regolazione del clima, la fotosintesi e la conservazione dell’acqua. Le popolazioni indigene si sono sempre coevolute, simbioticamente, con la biodiversità. Tutto in un equilibrio perfetto fin quando il mondo occidentale non ha rivolto le sue attenzioni al di fuori dei suoi confini.

Tutto ha inizio dal XV secolo con le prime spedizioni esplorative dei portoghesi, a cui sono seguite quelle degli spagnoli, dei francesi, degli inglesi, degli olandesi. Si moltiplicarono le monocolture di canna da zucchero, di noce moscata, di chiodi di garofano, di the, di caffè, di tabacco, di cotone e via dicendo. L’arrivo di Colombo nelle terre al di là dell’oceano comportò il trasporto di mais, patate, pomodori, girasoli, fagioli in Europa. Si crearono le prime compagnie commerciali, la Compagnia delle indie orientali inglese ed olandese…, per il controllo di enormi territori.

Il Nord cominciò ad accumulare ricchezza utilizzando le risorse biologiche del Sud. Ciò comportò l’inizio della distruzione della biodiversità; si utilizzavano solo le coltivazioni in grado di assicurare un ritorno economico a scapito di tutte le altre. L’interesse economico cominciò ad inficiare i legittimi diritti delle popolazioni locali che videro messa in pericolo la propria sussistenza. Gli appetiti del Nord non si sono fermati ai prodotti agricoli, ma hanno cominciato ad interessare anche il legname delle foresta.

L’industria farmaceutica ha beneficiato della biodiversità tropicale ed ha inviato botanici che, senza alcun compenso, si appropriano delle piante e dei saperi locali, a costo zero.

Attualmente gli interessi delle società farmaceutiche e di materie prime e dei loro governi si spingono a fare pressione presso il WTO affinché dichiari le risorse naturali ”patrimonio universale” per garantire loro libero accesso. Se ciò avvenisse sarebbe una tragedia per le popolazioni locali.

Gli accordi internazionali sui brevetti e sulla proprietà intellettuale sono sempre più lo strumento per assicurarsi il monopolio di materiale genetico di valore inestimabile, spogliando dei loro diritti anche coloro che ne sono stati i fautori. La Monsanto, ora Bayer, dopo avere depositato brevetti, conseguenti a manipolazione di materiale genetico vegetale, ha accusato di pratiche commerciali scorrette le popolazioni del Terzo mondo che rifiutano di adeguarsi alle leggi americane sui brevetti, che conferiscono il monopolio sulle forme vitali.

Il mondo si è ribaltato.

Le mutazioni che si sono via via adattate alle continue modifiche ambientali ci hanno sempre assicurato un patrimonio genetico che ha favorito la coevoluzione piante/uomo, utilizzando solo quello che madre natura ci ha donato. Ora, con l’avvento delle monocolture create utilizzando ibridi con materiale genetico forzato ed omogeneo, dipendente da imputs esterni, fertilizzanti e pesticidi, si è distrutta la biodiversità a vantaggio dell‘uniformità che favorisce le ragioni del mercato: nella silvicoltura si utilizzano le piante a rapida crescita da cui ricavare legname e nell’agricoltura coltivazioni ad alta produttività dipendenti da imputs chimici. Tutto ciò senza ricordarsi cosa la storia insegna. Le coltivazioni con patrimonio genetico uniforme, non mutano nelle condizioni avverse e sono facilmente aggredibili.

Nel 1845, in Irlanda, la popolazione locale, che si nutriva esclusivamente di patate, fu decimata da una carestia provocata da un fungo che distrusse le coltivazioni di patate. Ciò provocó l’emigrazione della popolazione negli Stati Uniti.

Oggi si è sempre più alla ricerca di terreno da utilizzare commercialmente e si ricorre al land grabbing. L’Africa e l’Asia meridionale ne sono le principali vittime. I governi dei Paesi interessati, per necessità o per interesse dei governanti, stanno cedendo milioni di ettari di terreno, che si vedrà privato della vitale biodiversità. Biodiversità che assicura la sussistenza alle popolazioni locali.

I Paesi del Terzo Mondo non comprendono che, per proteggere la propria casa dai “ladri istituzionali “, non é più sufficiente chiedere agli stessi la restituzione di parte della refurtiva, sotto forma di insignificanti royalties. La protezione della propria casa dipende dal non permettere al “ladro” di entrare in casa.

Se i Paesi africani non smettono di subire passivamente le continue aggressioni commerciali e non iniziano a ridistribuire ai propri connazionali le terre coltivabili, credo che l’instabilità sociale accenderà la miccia di un’enorme dinamite. L’Europa non sentirà solo il rumore dell’esplosione, ma verrà invasa da una moltitudine di disperati e, forse, solo allora capirà che tutto è stato provocato anche dalla sua secolare cupidigia, di cui non ha mai preso coscienza.

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